Bernardino
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Correzione fraterna - omelia della 23a Domenica del TO - Anno A

La correzione fraterna

Nelle ultime due domeniche abbiamo toccato un vertice altissimo della rivelazione del mistero di Gesù e della fede in lui da parte degli apostoli: la rivelazione che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, riconosciuta da S. Pietro; la promessa di Gesù di fare di lui la «pietra» di fondazione nella costruzione della Chiesa e, infine, la manifestazione della messianicità di Gesù orientata alla morte in croce e alla risurrezione. Oggi l'insegnamento di Gesù scende nel concreto della vita della comunità cristiana, si cala nel vissuto quotidiano dei suoi discepoli. Tale insegnamento concerne rispettivamente la correzione fraterna, la riconciliazione sacramentale e l'infallibilità della preghiera di domanda, soprattutto fatta in comune, insieme.

La correzione fraterna

Quando una persona pecca, quando offende Dio, offende la comunità ecclesiale, cosa bisogna fare? E’ meglio tacere o intervenire? Le letture bibliche del giorno mettono in evidenza chiaramente che ciò che conta, animati dalla carità, dall’amore è il recupero del fratello, fare di tutto per salvarlo e riportarlo sulla retta via. Dalla Sacra Scrittura sappiamo che Dio non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione, e che ogni anima è oggetto del suo amore infinito. Questa dunque deve essere anche la preoccupazione di fondo della Chiesa e di tutti i suoi membri, quindi nostra. Chi ama Dio deve amare anche i fratelli e quest’amore è ordinato non solo al loro bene materiale ma soprattutto a quello spirituale ed eterno. Come ognuno vuole per sé la salvezza così è tenuto a volerla per gli altri; anzi ciò è condizione della stessa salvezza personale.
Su questo punto si ferma la prima lettura. Dio costituisce sentinella del suo popolo Ezechiele e gli dice: “Se (…) tu non parli per distoglier l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te” (Ez 33,8). Queste inquietanti parole sono rivolte non solo ai profeti, ma anche ai pastori d’anime, ai superiori religiosi, ai padri e madri di famiglia, agli educatori. La loro salvezza è legata allo zelo nel custodire il loro gregge, grande o piccolo che sia, con la gravosa responsabilità di vigilare e correggere le anime a loro affidate, per portarle alla salvezza. Dio chiederà stretto conto se una di queste anime perisce nel peccato. Lasciar perire nel peccato un figlio o una persona affidata è un atto di tradimento e di viltà.
Ma questo dovere, anche se in misura minore, è di ogni cristiano: è il dovere della correzione fraterna. Tutti siamo chiamati in causa. Il cristiano non può essere indifferente, come se gli altri non lo riguardassero. In certe situazioni, tacere può essere anche una grave mancanza morale.
Oggi, purtroppo, al riguardo, si va diffondendo, perfino tra i cristiani, il fenomeno della tolleranza a oltranza: in nome di una libertà e di un rispetto delle idee degli altri mal compresi, o per il timore di essere respinti, di perdere la popolarità o di venir tacciati di intransigenza si tace sul male che viene compiuto anche pubblicamente, ci si lava le mani o si lascia correre. Esempio nessuno più condanna le immoralità, attraverso i mezzi di comunicazioni, nessuno condanna le mode indecenti, vergognose che purtroppo vanno attraverso le piazze o addirittura in chiesa (qui grave responsabilità dei pastori, dei sacerdoti, e Vescovi che permettono di far entrare in chiesa le persone vestite indecentemente o svestite come in spiaggia!). E lo scandalo che milioni di bambini vengono uccisi nel grembo delle madri e con il permesso dello Stato è gravissimo. Oppure non si richiama una persona che professa una falsa dottrina, religione.
Fratelli, la correzione fraterna, come mezzo di conversione e di salvezza, è quindi un atto di carità, di amore ed è necessario ed è un dovere di tutti.
A questa finalità sono orientate le modalità della correzione fraterna, con varie tappe, di cui ci parla il Vangelo di oggi. La prima che Gesù ci suggerisce è di fondamentale importanza: “Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;” (Mt 18,15). La correzione fraterna a va fatta, anzitutto, a tu per tu, per salvaguardare la buona fama del colpevole. Purtroppo in pratica accade spesso il contrario: si preferisce parlare alle spalle, criticare e propalare ai quattro venti i peccati degli altri, anche i più intimi e segreti. A che serve mormorare sui peccati altrui, se poi nessuno li corregge? La correzione, inoltre, va fatta con la retta intenzione di volere soltanto il bene dell’altro, con un profondo senso di umiltà, che ci fa sentire peccatori come gli altri e con quella delicata prudenza che fa trovare parole e modi appropriati per non umiliare chi ha peccato.
E non dimentichiamo che il richiamo più forte è l’esempio di una vita santa (il richiamo, la predica del buon esempio). Si narra nella vita di S. Francesco l’episodio nel quale un giorno invitò il suo confratello ad andare in un paese a predicare; andarono per il paese, senza proferire parole e al ritorno in convento il confratello disse: “Ma Padre, e la predica, non dovevamo andare a predicare” e S. Francesco gli rispose: “ Caro fratello, noi siamo andati a predicare: abbiamo predicato il buon esempio”. Il valore del buon esempio.
Se la correzione privata non ha esito, il Vangelo, sempre allo scopo di indurre il fratello a ravvedersi, suggerisce di ripetere la correzione davanti a due o tre testimoni.

L’autorità della Chiesa. Il sacramento della riconciliazione.

Nel caso, poi, che anche questo mezzo non abbia effetto, Gesù ci invita a informarne la Chiesa, a cui Dio ha dato l’autorità di “legare” e di “sciogliere”, ossia di riconciliare il peccatore ben disposto o di escluderlo dalla comunione di coloro che condividono la stessa fede. All’opera materna della Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, viene affidato l’ultimo accorato appello, perché colui che ha mancato riconosca la sua colpa e ritorni al più presto in seno alla comunità ecclesiale. Ed è soprattutto nel sacramento della penitenza, della confessione che la Chiesa esercita la potestà divina di Cristo, concedendo il perdono attraverso i suoi ministri consacrati e indicando la via della salvezza.
Ma non dimentichiamo che le nostre ammonizioni, per quanto prudenti e rette, non potranno mai ottenere da Dio la grazia della conversione se non sono precedute e accompagnate dalla preghiera incessante; anzi, il più delle volte resta questa l’unico mezzo per ottenerla. Perciò è doveroso anzitutto pregare per quelle persone che Dio ha affidato alle nostre cure. La preghiera opera da sola con efficacia, anche se fatta in modo nascosto e silenzioso. Insieme all’offerta dei sacrifici, è l’arma più potente usata dai Santi per la salvezza e la conversione dei peccatori; ed è, quindi, la forma più alta di carità cristiana.
Raccontava un sacerdote, che poi divenne vescovo di Praga e cardinale, mons. Giuseppe Beran, che quando egli doveva richiamare qualche fratello che sbagliava, lo faceva con parole umili e piene di carità. Lo richiamava alcune volte; poi, quando si accorgeva che le sue parole cadevano nel vuoto, egli non diceva più nulla e si limitava a pregare e ad offrire sacrifici. Gli effetti desiderati non si facevano di molto attendere: alla fine egli riusciva sempre ad ottenere la sospirata conversione.

Efficacia della preghiera comune

Oltre alla preghiera personale, silenziosa è importante la preghiera fatta in comune, come Gesù ci insegna nel Vangelo e la Chiesa ci raccomanda “se due di voi sopra la terra si accorderà per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà”. Pensiamo all’efficacia della preghiera fatta in Chiesa, soprattutto nella liturgia (ad esempio la S. Messa); pensiamo alle preghiere fatte nelle comunità religiose, nelle associazioni e movimenti laicali e in modo particolare alle preghiere fatte in famiglia: le preghiere del mattino e della sera, la preghiera a tavola prima dei pasti, la preghiera del S. Rosario che è la preghiera per eccellenza della famiglia. Diceva il Papa Giovanni Paolo II: “La famiglia cristiana trova e consolida la sua identità nella preghiera… come è bello che in famiglia si reciti …il Rosario! Una famiglia che prega unita, si mantiene unita; una famiglia che prega è una famiglia che si salva! (n.d.r.e che salva altre!). Fate in modo che le vostre case siano luoghi di fede cristiana e di virtù mediante la preghiera recitata in famiglia” (cfr. Discorso 24 marzo 1984). Raccomandava questa preghiera soprattutto dove si è persa l’usanza “Magari rifiorisse la meravigliosa consuetudine di recitare il Rosario in famiglia!”, tante crisi scomparirebbero e ci sarà così il sostegno per l’unità e per far fronte a tutte le necessità.
Affidiamoci alla Madonna, chiedendo a Lei, di santificarci sempre più, caritatevoli con tutti , soprattutto verso i fratelli che sono lontani da Dio, nel ricercare la loro salvezza, con la correzione, il buon esempio, la penitenza e soprattutto con la preghiera, sia individuale che comunitaria.

Omelia della XXIII domenica - TO